__________ Prima dei Vescovi ___________

Le comunità religiose del XVIII - XIX secolo

 

Per buona parte del Settecento, la vita religiosa di Tortolì si sviluppava attorno a quattro istituzioni: la parrocchia di sant'Andrea Apostolo, tenuta dal clero secolare; il convento degli Eremitani di sant'Agostino, che officiavano la chiesa di sant'Antonio Abate; il convento dei Frati Minori Cappuccini; e la Confraternita del Rosario. La devozione dei Tortoliesi era rivolta anche ai santi delle chiese dell'abitato e della cam­pagna, con relative feste annuali.

La parrocchia aveva quale suo primo responsabile il parroco, che era rettore e spesso veniva sostituito da quatto o cinque vice-parroci, detti curati. La situazione pastorale del paese, come quella delle altre contrade ogliastrine, non era delle migliori. Tortolì appare fortunata, perché è una delle sole cinque parrocchie ogliastrine aventi un titolare (mentre le altre erano amministrate da curati, vice parroci). Tuttavia, i suoi parroci dell'epoca erano presenti in sede solo sei mesi all'anno, passando i restanti a Cagliari. Praticamente, la parrocchia restava in mano ai vice parroci che, venivano supportati, nella spiegazione del Vangelo e nella spinta alla frequentazione dei Sacramenti, dai frati minori cappuccini.

Nel 1784, l'arcivescovo di Cagliari, monsignor Vittorio Melano con­statò che la chiesa parrocchiale di Tortoli era profonda, umida, bassa e stretta e giudicata degna di riforma. La chiesa aveva nove cappelle: la captila del Rosario, en estado decente, la copiila de S. Andres, la de san Lucifero, de lasAlmas, de Santa Rosa, de la buenamuerte j del buen camino, qualestodasnecessitan ser ajustadas, son estas a lapart del Evangelio; a lapart de la Episto­la: la Trinidad j san Miguel, queigualmente no se haclaranmuy decente.

Le sepolture venivano effettuate prevalentemente all'interno e nei pressi di questa chiesa, talora anche presso la vecchia parroc­chiale di sant'Elia.

La chiesa di sant'Andrea fu ristrutturata a partire dal 1790, anno in cui furono affrontate ingenti spese per interventi edilizi. Nel 1809, in un rapporto del prefetto di Tortoli, è definita affatto nuova, sul modello della cattedrale della capitale.

Con l'erezione della Diocesi, la vita parrocchiale si arricchì, ovvia­mente, della presenza del vescovo e dei canonici e beneficiati del Ca­pitolo della cattedrale.

 

I Frati Minori Cappuccini

 

I Frati Cappuccini arrivarono a Tortolì nell'aprile 1725 e lasciarono il paese nel 1767.

Nel 1725, si costituì in paese una «Giunta» (Comitato) di 190 per­sone, composto dal clero, dai «principali» e da altri rappresentanti della popolazione «tutti concorrenti a chiedere i Cappuccini». Il quella occasione, il rettore Domenico Cabras offrì, per la fondazione del convento, 50 scudi, da consegnarsi la metà nel 1725 e l'altra metà nel 1726, offerte fecero anche altri rappresentanti del clero, dei nobili e degli altri popolani, promettendo complessivamente più di 600 scu­di. Nel 1726, i «principali» di Tortolì inviarono al vicario provinciale dei Cappuccini formale richiesta di dare inizio alla fondazione. Il 20 luglio dello stesso anno, si ottenne la licenza del procuratore generale dei Cappuccini per la fondazione del convento. Anche il marchese di Quirra espresse il suo assenso da Madrid, con foglio datato 13 settembre 1727.

Tuttavia, nel 1726, il priore degli Agostiniani di Tortolì, con un memoriale inviato all'arcivescovo di Cagliari, si era opposto all'inizia­tiva. Fra Agostiniani e Cappuccini si accese una grave lite presso la Sacra Congregazione dei Vescovi che, dopo alterne vicende, con de­cisione data a Roma il 23 gennaio 1733, si espresse a favore dei padri cappuccini. Tale decisione, che ebbe Yexequaturdella Reale Udienza nello stesso anno, era stata preceduta dal beneplacito del viceré di Sardegna del 13 agosto 1732. Infine, monsignor Falletti, arcivescovo di Cagliari, con apposita licenza del 7 maggio 1733, permise che si erigesse il convento, delegando il rettore Cabras a «benedire la pietra fondamentale e piantare la croce»; nonché a designare cinque persone del luogo quali fabbricieri, col ruolo di curare sia la costruzione, sia la gestione delle entrate e delle uscite, con relativo rapporto con bene­fattori e maestranze, e cioè: il sacerdote Nicola Pisano, curato, il nobile don Giovanni Pietro Puliga e i signori Ignazio Ghisu, Salvatore Selis e Francesco Diego Sanna. Il 23 maggio dello stesso anno, fu rogato apposito atto di donazione dei terreni necessari alla fondazione della fabbrica; il successivo 25 maggio i rappresentanti del paese, riuniti in «Giunta», si espressero, nuovamente, a favore dell'erezione del con­vento. Nello stesso giorno si pose la prima pietra.

Per la costruzione della chiesa, convento e orto dei frati, la Co­munità offrì ai Cappuccini le aree site ad Occidente del paese, verso Monte Attu; i proprietari cedettero gratuitamente tali terreni.

Per la costruzione della fabbrica oltre ai 600 scudi, già raccolti nel 1725, furono offerti anche beni in natura, quali grano, pietre e altri materiali, oltre alla disponibilità di carri e giornate lavorative gratuite. Inoltre, tra il 1725 e il 1768, in circa 87 testamenti si trova­no lasciati per i Cappuccini: offerte in danaro e beni in natura, per la fabbrica, e soldi per ottenere la celebrazione di messe.

Il convento venne terminato, probabilmente, nel 1743, anno in cui vi furono trasferiti i frati. La chiesa restò, invece, incompiuta, dato che al momento della chiusura del convento la costruzione mancava della volta e del tetto con cui coprirla, sebbene fossero stati già ap­prontati i materiali occorrenti.

Complessivamente i Tortoliesi finanziarono la fabbrica per 8.000 scudi, pari a 2 miliardi e 400 milioni di lire. Sembra che non ci si preoccupò di accelerare i lavori dato che un oratorio pubblico, officiato dai religiosi, funzionava già dal 1730.

Nel 1746 nel convento si trovavano 18 cappuccini.

 

Nella seconda metà del XVIII secolo, la Provincia cagliaritana dei Cappuccini era composta di 11 case religiose, cioè dai conventi di: Cagliari Sant'Antonio, Cagliari San Benedetto, Quartu, Villasor, Sanluri, Oristano, Iglesias, Masullas, Barumini, Nurri, e dall'ospizio di Tortoli. La casa religiosa di Tortoli, per un certo periodo era stata-dichiarata formale convento, «ma per difetto di clausura, non sussi­stendo la regolare osservanza, nel Capitolo del 1763 si ridusse come prima ad ospizio».

A quella data (1763), la comunità dei Cappuccini era composta da 4 sacerdoti e 3 fratelli laici, contava anche 3 terziari francescani.

Da un'informativa del padre provinciale Giò Michele da Marene circa il modo di vestire dei Cappuccini della Provincia di Cagliari risulta che, in quel periodo: «Vestono malamente con lana ispida ed irsuta e di pochissima durata e malamente lavorata, e quasi ogni anno devono essere vestiti d'abito, quale con grandissima difficoltàpuò servire per due anni'non essendo cotale sayale di poter reggere a rappezzarlo».

Essi erano molto apprezzati in paese:

Los religiososcapuchinos de està villa de Tortoly son exemplares tanto en convento, como en està villa, dado a exercicios espiri tua les, como es la administration de I Sacra­mento de penitencia, visitenenfermos, ayudandolos a bien morir, la via sacrayotrosexercisios en utilidad, y provechoespiritual, y laslemosnassolas de està villa no basten para elsustento, y devidedesencia de quattro religiosossacerdotesyquatroprofessos, e ellos son, por aver atro convento mendicante, tienentresdonados, e aven busca por lasvillascircunvesinasy con esso vivencomodamente,y credendo los op erario s puedencrecer en lafamilia. 9 de j mio 1765 P riamo Longoni vice rettore de Tortoly.

 

Nel 1766, a Tortoli si trovavano i seguenti cappuccini:

p. Antonio Unida da Tadasuni, presidente e predicatore

p. Illuminato Sorru da Cagliari, predicatore

p. Antonio Abis da Monastir

p. Placido Lomedda da Cagliari.

L'ospizio venne soppresso nell 767:

Ottenuta la licenza di un ampio territorio attiguo alla villa, sufficientissimo non solo alla formazione del convento ma anche per un orto e recinto assai capace, colla volontaria contribuzione degli ecclesiastici, cavalieri e altri particolari, si è in breve perfezionata la fabbrica, soda, comoda del convento e ridotta quasi a termine quella della chiesa, non mancandovi altro che l'interna abbellitura, il pavimento, l'imposizione di alcune voltenei tetti. Non poterono, però, detti Padri godere a lungo del nuovamente edificato convento, poiché nell'anno 1767 furono obbligati ad abbandonare per ordine del Regio Governo.

Nel 1769, i maggiorenti di Tortolì rivolsero un'istanza al re per far tornare in paese i Cappuccini, che però non fu accolta:

I sindaci e Comuni del Dipartimento d'Ogliastra

a S. R. M.

Erano già 38 anni circa che i RR. PP. Cappuccini avevano stabilito un convento nel villaggio di Tortolì, capitale dell'Incontrada, mantenendoviil numero di 7 e 8 religiosi fra sacerdoti e laici, con grandissima spirituale consolazione, non solamente dei 22 popoli che compongono quel Dipartimento, ma eziandio di moltissimi altri che esistono per la parte orien­tale del Regno.

Imperocché questi religiosi non solamente attendevano alla vita contemplativa portata dal loro instituto, ma pur anche alla vita attiva, predicando e facendo esortazioni e missioni a quei popoli abbandona­ti, i quali nelle soventi loro spirituali angustie trovavano in questi reli­giosi chi li sollevasse nei loro travagli e sentisse con pazienza le loro generali e particolari confessioni, e li rimandasse istruiti e consolati a casa loro.Essendo poi venuto in questa provincia nel 1767 il P. Fr. Michele Marene, religioso forastiero, in qualità di visitatore, non si sa per quale cagione e motivo abbia voluto sopprimere il suddetto convento facendone ritirare i religiosi che vi dimoravano; con gran dispiacere e rammarico di quei popo­li, non men che dei suddetti religiosi.

Resta ancora quel convento vuoto e abbandonata la loro chiesa, e quan­tunque non sia terminata la fabbrica conforme all'idea e pianta ch'erasi formulata, manca però poco a portarla alla sua perfezione, e perciò sicu­ramente non mancherebbero le limosine di quei divoli abitatori che suspirano per il ritorno dei Cappuccini e ristabilimento del convento. Epperò ricorrono a VS.R.M. ed umilmente supplicano si degni per un tratto della sua Reale Clemenza in vista dell'esposta circostanza permettere che i suddetti religiosi nuovamente ripiglino il loro prefato convento e lo ristabiliscano, restituendogli tutto quanto dal medesimo e dalla chiesa fu preso per trasportarlo nella parrocchia ed in altre chiese, operando questa consolazione dalla Reale benignità e clemenza di VS.R.M.

 

Don Gio                                               PuligaAnt. Venan. Zuim rettore di Tortolì

Don Gio Tommaso                               CardiaGiov. Pietro Puliga cura

Don Giuseppe GuisoMinutoli                 Priamo Longoni cura

Don Giovanni Cardia                            Diego Conte cura

Don Marc’Antonio Cardia                      Ambrogio Ignazio Carta cura

Don Francesco Lochy                           Gio Battista Boi cura

Don Luigi Cardia                                   Sisinnio Usai sacerdote

Juan Diego Sanna sindaco                    Agus Giuliano        

Dott.re Gio Battista Solinas

Andreas MarcelleLay capitan del partido de Tortoly

 

Da quel tempo in poi, il terreno annesso al convento fu usato per seminare la «roadia» del Monte granatico, in virtù di un decreto di mons. Delbecchi, arcivescovo di Cagliari, del 13 giugno 1768, confer­mato da monsignor Melano il 14 luglio 1783, che estendeva tale privi­legio anche al Monte nummario.

Del convento si fecero diversi usi. Il refettorio e gli altri vani terreni di maggiore ampiezza furono destinati a magazzino del «Mon­te»; un'altra camera come aula scolastica. Le camere superiori, acco­modate e ammobiliate a spese dei parroci e vice parroci dell'Ogliastra, furono usate per l'annuale ritiro degli esercizi spirituali, nel mese di maggio, tempo in cui per esser vuoti i magagni del Monte, servono questi per le necessarie officine. Quanto alla chiesa, si era progettato di ampliarla e perfezionarla, al fine di destinarla a parrocchiale, in luogo della chiesadi sant'Andrea che, per essere profonda, umida, bassa e stretta, era giudicata degna di riforma, permettendo così un notevole risparmio.

L'arcivescovo Melano, in seguito alla sua visita pastorale del 1784, non stimò conveniente tale ultima soluzione:

 

1° perché la chiesa parrocchiale non deve essere fuori della popola­zione;

2° perché detta chiesa, quantunque ampliata non sarebbe propor­zionata al numero dei parrocchiani;

3° perché il sito in cui trovasi viene intersecato e diviso dalla popo­lazione da un ruscello, il quale, sebbene per lo più piccolo e asciutto, pure in occasione di temporali suol crescere a dismisura ed in maniera tale che per alcune ore almeno non si può transitare nep­pure a cavallo.

 

Sarebbe vantaggiosa la proposta commutazione di detto convento e chiesa dei Cappuccini colla chiesa e convento degli Agostiniani, pur­ché però si obbligassero questi a concedere l'uso di alcune camere di detto convento ai parroci per gli esercizi da farsi nel mese di maggio. Acquisterebbe la parrocchia la chiesa degli Agostiniani che potrebbe servire da parrocchia filiale.

 

I Frati Eremiti Agostiniani

 

La comunità dei Frati Agostiniani faceva capo alla chiesa e convento di sant'Antonio Abate. Nella prima metà del Settecento, gli Agostiniani erano già impegnati nella costruzione di una nuova chiesa. Anche per tale motivo essi si opposero alla fondazione dei Cappuccini, non asse­condati, tuttavia, dal clero locale, dai nobili e dai «principali» del paese. Nel 1726, il convento di sant'Antonio contava 3 o 4 religiosi, che au­mentarono negli anni successivi sino a 5 o 6.

L'esistenza della chiesa di sant'Antonio è attestata fin dal 1579; anticamente era il luogo in cui si riunivano i rappresentanti del Giudi­cato d'Ogliastra, come si può evincere dal Libro di Todas las Gracias. Nella chiesa, oltre a seppellirvi i religiosi, una consuetudine moltoantica faceva sì che vi si seppel­lissero anche dei laici, fino ai pri­mi anni dell'Ottocento. La pre­senza degli Agostiniani a Tortolì e attestata già nella prima metà del Seicento.

Fu nel 1480 che gli Agostinia­ni arrivarono in Sardegna, dalla Spagna, guidati dal padre Crarco da Lerida che aprì un conven­to in Sassari. In seguito si stabilirono a Cagliari, dove riaprirono l'anti­co convento fondato da san Fulgenzio. Conventi vennero aperti an­che a Illorai, Alghero, Samassi, Escolca, Iglesias, in Gallura e, appunto, a Tortolì.

Nel 1746 nel convento di Tortolì si trovavano 10 religiosi agostiniani.

 

Nel 1759 contava i seguenti frati:

p. Gio Agostino Mancosu da Tortolì, vicario e priore

p. Salvatore Cardia

laici:

fr. Guglielmo Piras

fr. Agostino Pinna Usay

fr. Lorenzo Casu

 

Nel 1766:

p. Gio Agostino Mancosu da Tortolì, vicario e priore

p. Tommaso Escano da Alghero

 

laici:

 

fr. Ferdinando Samut da Cagliari

fr. Guglielmo Piras da Cagliari

fr. Agostino Pinna da Sassari

fr. Nicola Zucca da Ilbono.

 

Nel 1784 il padre provinciale propose la permuta del convento degli Agostiniani con quello dei Cappuccini, abbandonato nel 1767. Egli riteneva che la permuta sarebbe stata vantaggiosa non solo per i suoi religiosi, ma anche per la popolazione. Sebbene per completare la chiesa lasciata incompiuta dai Cappuccini fosse necessaria una gran spesa, gli Agostiniani avrebbero potuto avere «l'alloggio più decente e buono, e godrebbero di miglior aria a cagione che il convento ove attualmente dimorano oltre ad essere vecchio è situato vicino allo sta­gno, e questo col fetore che esala cagiona ogni anno delle infermità, massime ai religiosi esteri che vi si trovano». Inoltre, poiché la chiesa parrocchiale doveva necessariamente essere riedificata, per evitare tale «grandissima spesa» poteva essere utilizzata la chiesa degli Agostinia­ni «nuova e bella», come aveva suggerito un ingegnere pochi anni prima, quando fu chiamato dai notabili locali «per dargli il disegno della nuova parrocchia ed assegnargli il sito ove fabbricarla».L'unico ostacolo, secondo il padre provinciale, era costituito dal chiuso «vulgo detto ortali» che i padri cappuccini possedettero dietro il loro convento, in quel tempo in possesso del Monte nummario, che con la permuta ne avrebbe perduto la rendita. Ma ciò si sarebbe potu­to superare con la consegna al «Monte» del chiuso che essi possede­vano nei pressi del loro convento, ugualmente grande, con fonte e molino. Inproposito, il censore generale dei Monti granatici e nummari riconob­be la permuta un gran vantaggio per quei Monti di soccorso, purché oltre al chiuso da essi posseduto avessero ceduto anche tutto il convento. Da quei locali si sarebbero potuti ricavare i necessari magazzini del «Mon­te», già ubicati nel refettorio del convento dei Cappuccini; mentre era certo che i terreni degli Agostiniani avevano un'estensione superiore a quella del chiuso dei Cappuccini, con il vantaggio di essere più vicini al popolato e di migliore qualità.

Tale progetto, tuttavia, non venne realizzato.

Nel 1794, nel convento di sant'Antonio venne esiliato il frate laico Antonio Randacciu, imputato di una carica di schioppo messa nella camera abitata da padre Cara. Era stato trasferito dal convento di sant'Agostino di Cagliari, per separarlo dal Cara, in quanto sia l'uno che l'altro erano cervelli infocati, tra loro opposti, privi entrambi dello spirito religioso e nati per mettere lo scompiglio non solamente in una comunità di Cenobiti, ma ancora in una di Anacoreti?'' Fra i tanti fatti scandalosi, Randacciu era accusato di aver celebrato, in vari giorni del mese di gennaio, due messe nel convento di sant'Agostino, «per il quale delitto, sebbene meritasse d'esser punito anche alla galera è stato punito, d'ordine dell'arcive­scovo, con alcuni mesi di carcere che ha subito nel chiostro del suo Ordine». Nel 1795 venne richiamato a Cagliari, perché «un tal sog­getto difficilmente può essere contenuto nei suoi limiti in questo con­vento [di Cagliari], sotto gli occhi di superiori maggiori, così molto meno lo sarebbe negli altri conventi che, per esser poco numerosi, non sono suscettibili d'una rigorosa disciplina».

Nei primi decenni dell'Ottocento, la Provincia religiosa degli Agostiniani era costituita da soli sei conventi, situati a Cagliari, Tortolì, Alghero, Sassari e Pozzomaggiore, aperto molto dopo gli altri.

In merito alla situazione di tali comunità religiose padre Gelasio Floris scrisse:

Ma se vuoi dirsi la verità, tutti questi sei conventi esistenti, se si riuniscono in un solo corpo, a stento se ne formerebbe uno che potesse sostenere reli­giosamente dieci individui, perché la mala amministrazione ha ridotto i vistosi patrimoni che in addietro avevano ad una totale ruina. Per cui andò anche in disuso la religiosa pietà e la vera dottrina agostiniana; e se, come in altre Epoche, fossero i Sardi religiosi agostiniani invitati a far fronte ai «monoteliti», certo che nessuno ne avrebbe preso l'impegno, essendo tutti occupati in una vita orrorosa, nemici dell'applicazione teologica.

 

Nel 1808, in qualità di priore del convento di Tortolì, lo stesso Gelasio Floris, «per salvare il decoro del nostro Istituto» denunciò alla Segreteria di Stato che il padre Tommaso da Nurri, religioso scostu­mato, non si dimostrava ligio agli ordini precisi del Governo, al quale: «più volte ho intimato e fatto sentire per ordine del nostro padre provinciale concernenti una tale riforma dei suoi costumi tanto eco­nomici che morali, oltre tanti altri mezzi che inutilmente ho usato».

Il carisma e l'interessamento di questo priore, fine intellettuale, dovette essere all'origine della richiesta di istituire in paese le scuole pubbliche fino alla retorica, fatta nel 1811 da diversi paesani: «la ve­dova signora Caterina Pisano, signora SisinnaDemuro, Maria Cucca, Maria Antonietta Boi, Felice Nonnis e di più sottoscritti».Gli istanti dichiararono d'essere disposti a finanziare la scuola, offrendo 10 scu­di cadauno a favore dei maestri; precisarono, altresì, che all'iniziativa erano d'accordo i padri agostiniani.

Da un rapporto del 20 settembre 1821, del vicario generale dell'Ogliastra Tommaso Cabras, che lavorò ad un piano per istituire le scuole che mancavano in Ogliastra, risulta che il convento degli Agostiniani di Tortolì era composto da 2 religiosi sacerdoti, compre­so il superiore, di 2 laici conversi ed un altro senza voti. La comunità possedeva due chiusi attigui al convento che, affittati, davano annual­mente una rendita di 25 scudi sardi; una piccola vigna ed altri terreni aperti di 15 storcili, di poco valore attesa la loro incoltura e sterilità; unfondo di capitali censuali di 3.000 lire e di pensioni annuali di 300 lire sarde, le quali sono obbligate a festività ed a messe tutto per tutto. Detti religiosi sono questuanti e vivono delle questue medesime e dalle provvidenze degli stabili e delle messe; ma valutate le spese di vestiario e di manutenzione giornaliera, non fanno risultare che debito annuale di somma egregia, come tutto risulta dai libri che sono stati esaminati.

 

Il vicario generale, nel suo rapporto, osservò che i religiosi dei due unici conventi ogliastrini, dei Frati Minori Osservanti a Lanusei e de­gli Agostiniani a Tortoli:

 

Non si prestano ad alcun vantaggio spirituale del popolo, se non per ragio­ni lucrative; celebrano la messa nel proprio convento nelle ore a loro arbi­trarie e spesso, in pregiudizio delle parrocchie, nelle ore della messa par­rocchiale. Il sottoscritto non può mettere a calcolo in ragione d'utilità pub­blica alcuno degli individui componenti queste due famiglie né tra i conver­si e terziari, utili solamente alle loro questue, né tra i sacerdoti, attesa la loro oziosità e rilassatezza nella disciplina.

Pare che i loro superiori regolari siansi impegnati a confinare nei piccoli conventi i più inetti ed i più oziosi per servire d'inciampo ai popoli che più facilmente ne restano offesi. Questi non predicano, non istruiscono, non soccorrono ammalati, non aiutano la chiesa. Potrebbero, al più, sot­to un parroco zelante, supplire in aiuto del medesimo, obbligandoli alla fatica e al contegno.

 

In quell'anno, padre Prospero Perpetoni, priore del convento di sant'Antonio dal maggio 1820, denunciando di soffrire di violente febbri, chiese d'essere destinato a qualunque altra chiesa o convento provinciale, situato, però, in aria e clima più confacente alla sua salu­te. Nel 1824 era ancora priore del convento, che oltre a lui contava due chierici professi.

In seguito all'editto del 1823, che disponeva nuove norme per le scuole inferiori e rendeva obbligatorie le scuole elementari (dette normali), si aprì la scuola dell'obbligo proprio presso questo con­vento, nel 1826. La scuola si trasferì, dopo breve tempo, alla chiesa di san Sebastiano, poi, nel 1833, nell'oratorio del Rosario, presso la chiesa di sant'Anna.

 

Nel 1827, monsignor Carchero propose l'abolizione del convento e la destinazione degli edifici e dei redditi all'edificazione di un ospeda­le da connettersi alle cure dei padri di san Giovanni di Dio.

Nel 1841, monsignor Manurrita sollecitò alla Segreteria di Stato «la necessità di dovere allontanare prontamente, da quel convento d'agostiniani di Tortolì, quel priore chiamato Giuseppe Maria Era, anche servendosi delle misure più efficaci».

II padre Era fu, tuttavia, difeso da tali accuse dal padre provinciale, per cui: dimentico dei doveri di religioso menerebbe una vita scandalosa e sconve­niente per ogni verso al sacro carattere di cui è rivestito. Al padre provinciale, «dopo una rigorosa indagine», risultarono non vere e calunniose le accuse, ed essere «il prelodato soggetto encomiato da tutta quanta la popolazione nell'attività e zelo religioso, come comprovano gli atte­stati rilasciati dal Consiglio comunitativo, dal vicario generale, dall'arciprete, dal canonico penitenziere, dal comandante del Diparti­mento, dal giudice di Mandamento, da varie altre persone di vari ceti della suddetta popolazione».

Padre Era, unico sacerdote del convento, era ancora priore nel dicembre del 1845, quando la Segreteria di Stato informò il priore provinciale di supposte nuove sue imputazioni.

II convento degli Agostiniani venne definitivamente soppresso nel 1866.

 

La Confraternita del Rosario

 

Nei primi decenni del Settecento, la Confraternita del Rosarioappare affermata da tempo; proseguirà la sua attività anche per tutto il secolo. La sua presenza è documentata anche per tutto l'Ot­tocento. Il suo ruolo religioso e sociale, a Tortolì, era soprattuttoquello di prelevare e accompagnare i defunti all'ultima dimora.Così, nel marzo 1740, Giovanni Comida, che è povero, quando muore, proprio per essere membro della Confraternita, su richie­sta di essa ottiene di essere sepolto dentro la chiesa di sant'Elia e non nel cimitero comune.

Con ogni probabilità, nel Settecento, punto di riferimento religioso e sociale per la Confraternita era la captila de la Virgen del Rosario erigida en laparroquiadi sant'Andrea, documentata anche nel 1598. Già nella prima metà dell'Ottocento, l'oratorio della Confraternita era la chiesa di sant'Anna.

Nel 1832 ne era priore NicolòGuiso. In quell'anno la Confrater­nita cedette in affitto, per un triennio, a don Giovanni Battista Cardia Spano, per l'annua mercede di scudi 150pagabili ad annate maturate, i se­guenti beni:

 

- La tanca de Su Cugumiri

- I due giardini de Sa Funtana

- Il giardino di Sant'Agostino

- Il predio de S. Giuanni

- Le terre aperte di Senutu

- Il predio aperto de Su Niu de s'Abila

- Il piccolo predio de Corrargiu

- Il rancato de Caredda.

 

Ed i seguenti beni in enfiteusi:

 

- Le terre del notaio Caredda di Barì

- Le due aje della Vergine, una incorporata nel predio di Francesco Ignazio Selis, detto IsArgiolas, ed altro nel predio de Tanca de Bia, di donna Vittoria Cardia

- Altro del negoziante Raimondo Sulis

- Altro del contadino Francesco Pirastu

- Altro del reverendo beneficiato Cannas

- Quella che corrisponde lo stesso nobile appaltatore Cardia Spano

- L'azione delle case che possiede la SS. Vergine dentro questo popolato e vicinato di San Sebastiano.

 

Nel corso del suo episcopato (1872-1882), monsignor Paolo Maria Serci donò alla Confraternita un nuovo Crocifisso, del costo di cento lire, per uso dell'oratorio di sant'Anna: consegnò tale dono al priore Diego Splandesci.

Sulle Confraternite della Diocesi, monsignor Serci, impartì, fra l'al­tro, le seguenti disposizioni:

 

Riservandoci a compilare quanto prima un Regolamento per tutte le Confraternite della Diocesi, Ci restringiamo qui a ricordare ai confratelli il rigoroso dovere che la fatta professione loro impone di venerare il rispetti­vo parroco da cui dipendono; e d'intervenire alle prescritte funzioni parrocchiali, ed agli accompagnamenti funebri.

Riproviamo e dichiariamo abolito l'uso invalso in parecchie Confraternite, dei lauti pranzi soliti darsi in certe solennità, a spese della pia amministra­zione. Dichiariamo che tali spese non verranno bonificate. In detti giorni per altro si approva un modesto trattamento.